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La vita in corsia ai tempi del Covid 19 a Seriate. “Un sollievo l’aiuto arrivato dall’Accademia”

“Un grande aiuto è arrivato anche dagli industriali bergamaschi e dalle donazioni confluite nell’Accademia dello Sport per la Solidarietà di Bergamo, che ci ha fatto avere una preziosa Tac mobile e tanti altri dispositivi fondamentali allo svolgimento del nostro lavoro, come i caschi Cpap, l’impianto d’ossigeno, i flussimetri. Un sollievo anche per noi”.  

 
“Un vero tsunami, per più di un mese abbiamo avuto un’ondata pazzesca di pazienti”: la sintesi migliore, un messaggio forte e chiaro lanciato dal dottor Roberto Keim, direttore del dipartimento di emergenza urgenza e dell’unità operativa complessa di anestesia rianimazione e terapia intensiva dell’Asst Bergamo Est, usa per descrivere la situazione vissuta all’ospedale Bolognini di Seriate, una delle strutture messe più a dura prova dell’emergenza Coronavirus.
“Al pronto soccorso avevamo 100 accessi Covid, tutti con insufficienza respiratoria – ha raccontato il dottor Keim– In pochissimo tempo abbiamo dovuto trasformare l’ospedale, con tutti i 230 posti letto a vocazione Coronavirus. Dagli ordinari 6 letti di terapia intensiva siamo arrivati piano piano a 22: 9 in rianimazione, 7 li abbiamo trasformati nell’unità coronarica, un paziente in ciascuno dei 6 blocchi operatori. Il tutto sempre con lo stesso organico, anzi da quel punto vista abbiamo dovuto fare i conti con parecchie defezioni: in più dovevamo gestire anche una sessantina di pazienti con caschi Cpap, la mole di lavoro è stata impressionante e incessante”.
Ora la situazione pare essersi quantomeno stabilizzata, con un massimo di 15 accessi al giorno in pronto soccorso ma più spesso una media di 2-5 pazienti: un termometro affidabile dell’andamento del contagio, con valori ben lontani dai picchi raggiunti nella fase acuta. “Sapevamo che era scoppiata la bomba, con malati scaricati continuamente in ospedale e la maggior parte di loro in grossa difficoltà respiratoria. Quella è stata la fase più difficile, perché ci trovavamo a dover dare risposte velocissime, dal punto di vista clinico, logistico, di informazioni ai pazienti e ai loro parenti, che si sono visti improvvisamente togliere il diritto di vedere i familiari ricoverati. Continuavamo a trasferire pazienti, fuori provincia, fuori regione, addirittura fuori dall’Italia”.
L’emergenza ha creato un’incredibile unione di intenti, una straordinaria disponibilità e volontà del personale che, seppur decimato da malattie e pensionamenti, non è mai arretrato di un centimetro: “Non sono stati solo i medici a sacrificarsi, ma ho visto e apprezzato moltissimo anche il lavoro degli infermieri – evidenzia il dottor Keim – Si sono messi alla prova anche in situazioni mai affrontate, nessuno ha mai guardato all’orologio o al giorno di riposo. Io stesso non vedo la famiglia da due mesi e la maggior parte di noi è in questa condizione. In più abbiamo perso tanti colleghi, con cui lavoravamo fianco a fianco: ma in questa brutta esperienza abbiamo trovato compattezza”. 
 
È nelle difficoltà dunque che l’ospedale ha trovato nuove forze, dall’interno, ma anche grazie al sostegno del territorio: “All’inizio non ci aspettavamo una situazione simile – ammette Keim – Eravamo profondamente impreparati ma ci siamo rimboccati subito le maniche per trovare nuovi posti letto in terapia intensiva e i dispositivi di protezione individuale. Un grande aiuto è arrivato anche dagli industriali bergamaschi e dalle donazioni confluite nell’Accademia dello Sport per la Solidarietà di Bergamo, che ci ha fatto avere una preziosa Tac mobile e tanti altri dispositivi fondamentali allo svolgimento del nostro lavoro, come i caschi Cpap, l’impianto d’ossigeno, i flussimetri. Un sollievo anche per noi”.
 
Oggi il direttore del dipartimento di emergenza urgenza e dell’unità operativa complessa di anestesia rianimazione e terapia intensiva nota una de-tensione, una corsa meno affannosa al reperimento di nuovi posti letto: “Lo diciamo con molta cautela – si affretta a precisare – Stiamo respirando un po’ di più, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia: il livello di attenzione è altissimo, anche nella nostra cura e nell’uso maniacale dei dispositivi di protezione individuale, che fortunatamente ora abbiamo a sufficienza. Non possiamo commettere errori, a cascata si innescherebbe di nuovo tutto il ciclo pandemico, che per definizione non è prevedibile. Non ci troverebbe comunque più impreparati, ma non lasciamo spazio a facili entusiasmi: abbiamo tirato fuori il naso dall’acqua e iniziamo a respirare con una narice ma abbiamo ancora tutto il corpo sommerso. Stiamo immagazzinando dati, valutando e studiando i vari protocolli che ogni giorno, se consoni, ci troviamo ad applicare.Tutto questo ci cambierà e dovrà necessariamente portare a una riorganizzazione della sanità. Ora la cosa che desideriamo di più è quella di poter tornare a sorridere, magari togliendoci la mascherina: sarebbe il regalo più bello per lenire le fatiche fisiche e psicologiche”.